La nostra rubrica dedicata alle donne Expat oggi ci porta in Giappone – più precisamente a Tokyo – dove Michela vive da qualche anno.
Vivi in Giappone da qualche anno ormai. Ti va di raccontarci com’è nata l’ida di trasferirti qui e riassumerci brevemente la tua esperienza?
Non ricordo bene come sia nata la passione per il Giappone, ma ricordo bene quella sensazione del Luglio 2013 quando, grazie ad una super offerta, partii per soli 4 giorni per Tokyo e – una volta nella capitale del Sol Levante – decisi che mi sarei trasferita.
Da quel momento in poi sono tornata in Giappone ogni anno in vacanza, esplorando diverse zone, approfondendo la mia conoscenza della storia e della cultura giapponese, analizzandone gli aspetti “negativi” relativamente parlando e – soprattutto – cercando di capire il modo migliore per riuscire a trasferirmi qui, che alla fine si è rivelato essere il classico “Student Visa”, per il quale ho dovuto risparmiare parecchio!
Nell’immaginario collettivo espatriare significa preparare lo zaino e partire all’avventura, nella realtà si finisce invischiati nella burocrazia del Paese ospitante e si combatte per un visto. Ci racconti il tuo percorso verso il working visa giapponese?
Il Giappone non è proprio il Paese dove partire all’avventura. È un Paese schematico, spesso fin troppo imprigionato nelle sue stesse regole che non contemplano alcuna eccezione o una minima elasticità.
Per visitare il Giappone come turista non serve alcun visto fino a 90 giorni, ma in questo periodo non è permesso nemmeno cercare lavoro!
Non essendoci accordi per il WHV, il modo più semplice per ottenere un permesso di residenza è il visto studentesco, che però richiede l’obbligo di frequentare una scuola costosa e permette di lavorare per un massimo di 28 ore settimanali che non possono essere superate, pena l’espulsione dal Paese.
Nella mia esperienza, prima della fine della scuola di lingua, ho iniziato poi a cercare un’azienda solida che potesse farmi da sponsor, sperando che l’immigrazione accettasse la mia candidatura per quell’azienda (eh sì, non basta trovare un lavoro, l’immigrazione giapponese deve accettare che tu faccia quel lavoro al posto di un giapponese, anche se la disoccupazione è inferiore al 2%). Finalmente – dopo 4 mesi di attesa – sono riuscita a strappare il mio primo visto lavorativo, nonostante non abbia una laurea universitaria. Cosa c’entra? Beh, averla rende il tutto molto più semplice in immigrazione, anche se si trattasse in una laurea in fuffologia.
Se però si hanno molti anni di esperienza (o si è altamente qualificati) è anche possibile applicarsi per un lavoro dall’Italia – specialmente nel settore IT – ed ottenere il visto diventa molto più semplice.
Ci sono poi diversi tipi di visto, come quello per gli artisti o gli sportivi, ma solitamente sono di breve durata e implicano di avere già un ingaggio. Il visto per attività culturali, con il quale anziché frequentare la scuola si deve frequentare assiduamente un corso legato alla tradizione giapponese (come ad esempio le arti marziali) o il visto business, che richiede l’investimento di denaro nel Paese e l’approvazione del Business Plan da parte dell’Immigrazione. Insomma, di possibilità ce ne sono diverse ma tutte richiedono un certo impegno economico e di programmazione, quindi partire allo sbaraglio in Giappone è la mossa giusta per il fallimento.
Di cosa ti occupi a Tokyo? Facevi lo stesso lavoro in Italia?
Lavoro come responsabile di comunicazione digitale per un’azienda del settore turistico che organizza tour guidati ed eventi a Tokyo, ed allo stesso tempo aiuta le aziende giapponesi nella promozione digitale verso gli stranieri.
In Italia lavoravo in un settore completamente diverso (abbigliamento sportivo), ma lavorando in un ufficio di piccole dimensioni, mi occupavo anche di marketing e comunicazione.
Dal 2015 comunque sono nel settore turistico grazie al mio blog di viaggi, che mi ha permesso di acquisire maggiori competenze e conoscenze non solo nel mondo dei viaggi, ma anche nel mondo del digital marketing. Grazie al blog ho potuto ottenere lavori part-time come Social Media Assistant e copywriter durate il periodo scolastico, che mi hanno poi permesso di trovare lavoro presso la mia attuale azienda.
Cosa diresti a chi vuole trasferirsi in Giappone? 3 consigli che avresti voluto ricevere prima di partire!
Io sono partita abbastanza preparata, molto motivata e ben consapevole di cosa potevo accettare e cosa no, oltre al fatto che in Italia stavo comunque bene e quindi piuttosto che ritrovarmi a fare qualcosa che non ritenevo adatto a me sarei tranquillamente tornata in Italia.
Comunque sia, un consiglio che voglio assolutamente dare a tutti gli appassionati di Giappone – specialmente quelli appassionati alla cultura moderna (anime, games, musica, drama, etc) – è quello di studiarsi bene la storia giapponese, capirne la cultura così profondamente diversa ed informarsi su tutti i “lati oscuri” della società giapponese. Adattarsi alla vita giapponese, alle regole non scritte e all’inespressività emotiva dei giapponesi può essere un’impresa molto ardua, specialmente per gli italiani.
Consiglio poi di metter da parte diversi soldi, specialmente per tutte le spese iniziali che si devono affrontare.
Ultimo consiglio, per esperienza diretta: prendete una laurea o fate 10 anni di esperienza DA DIPENDENTE nello stesso settore lavorativo se puntate ad avere il visto lavorativo.
Quanto è importante conoscere ben l’inglese per trasferirsi all’estero in pianta stabile? E nello specifico quanto è importante conoscere il giapponese per trasferirti in Giappone?
Parli anche altre lingue?
Il discorso lingua è piuttosto complesso: per alcuni lavori non è necessario il Giapponese ma bisogna avere una certa padronanza dell’inglese, anche se non necessariamente a livello madrelingua, perché comunque in genere il livello di inglese in Giappone non è altissimo.
Per molti lavori sapere il giapponese è fondamentale, ma se si viene prima come studenti, è sufficiente riuscire a sostenere una conversazione base in inglese. Certo, poi occorre rimboccarsi le maniche e studiare molto, l’italiano non è tra le lingue contemplate qui in Giappone! Ho studiato francese e spagnolo, ma non direi che sono in grado di utilizzarle.
Domanda del secolo: vorresti tornare in Italia? Cosa ti manca di più del nostro paese? Cosa pensi serva allItalia per risollevarsi dalle sue ceneri?
In Italia io non ci stavo male, avevo un lavoro a tempo indeterminato, la mia indipendenza ed i miei affetti, ma ho scelto di provare a venire in Giappone perché amo questo Paese e mi trovo molto più a mio agio in questa società. Se DOVESSI tornare in Italia però non sarebbe un problema e non credo penserei a trasferirmi altrove.
La cosa che mi manca di più dell’Italia? Affettati e formaggi. DECISAMENTE. E la piadina (che guarda a caso necessita di affettati e formaggi).
L’Italia è un paese ricco di qualità ed anche gli italiani: sono geniali ed innovativi, ma molto spesso preferiscono usare la loro intelligenza per “fregare il prossimo” e fare il meno possibile sfruttando il sistema. Purtroppo si preferisce sempre scegliere la via più comoda e anzi, chi cerca di seguire la retta via è sempre quello che ci rimette. Quindi ahimè non vedo molte rosee speranze!
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