In un mondo in cui il turismo di massa sembra offrire a tutti le stesse identiche esperienze pre-confezionate e prive di sapore, il workaway può davvero rappresentare una scelta di viaggio alternativa.
Un’opzione validissima, soprattutto per chi ancora decide di fare le valigie e partire perché spinto dal piacere della scoperta e dalla sete di avventura (quella autentica!).
Ma partiamo dal principio:
COS’È IL WORKAWAY?
Nonostante il workaway sia ormai una pratica parecchio diffusa sia in Italia che all’estero, c’è chi ha ancora un po’ di confusione a riguardo.
Per workaway si intende generalmente una modalità di lavoro volontario in base alla quale un lavoratore (o workawayer) offre una determinata prestazione lavorativa che può essere di vario genere (si spazia dal baby-sitting al dog-sitting, dalle lezioni di lingua alla pulizia della casa, fino allo svolgimento di mansioni agricole, lavoro in fattoria, ecc.), in cambio di vitto e alloggio offerti da un host.
Ovviamente, non trattandosi di un impiego lavorativo vero e proprio, al workawayer sono richieste soltanto alcune ore di lavoro nell’arco di una giornata (solitamente 4/5, anche se poi dipende dall’accordo preso tra le parti); inoltre la collaborazione può durare da pochi giorni fino a qualche mese.
Il vantaggio che un viaggiatore può trarre da una simile pratica quindi è che essa gli garantisce la possibilità di stabilirsi a lungo in un luogo, praticamente a costo zero, visitando tutto ciò che gli interessa durante i momenti di tempo libero a sua disposizione.
COME CANDIDARSI PER UN WORKAWAY?
È molto semplice.
Esiste un network mondiale in cui sia workawayers che hosts si possono registrare in modo da essere rintracciabili gli uni dagli altri.
(La registrazione al network ha durata annuale e costa €30,00 come singoli oppure €37,00 come coppia.)
Solitamente è il workawayer che fa il primo passo inviando la propria candidatura: dopo aver fatto una ricerca sulla base delPpaese/periodo in cui gli piacerebbe viaggiare – oppure dell’attività che vorrebbe svolgere durante la sua permanenza – seleziona da una lista di contatti l’host che gli sembra più compatibile con le sue esigenze.
Inviatagli la richiesta, la palla passa direttamente all’host, il quale sfogliando il profilo del workawayer può decidere se accettare o rifiutare la proposta di collaborazione.
Se accetta, ha così inizio una relazione basata sulla fiducia reciproca che porterà a entrambi dei vantaggi positivi.
Ed eccoci che arriviamo alla domanda clou:
Perché vale la pena vivere un workaway all’estero?
Innanzitutto, come abbiamo detto, perché da’ la possibilità di viaggiare a costi molto più contenuti del normale.
In secondo luogo perché è un’esperienza che ti porta ad uscire dagli schemi abituali, mettendoti alla prova in situazioni completamente nuove.
Può sembrare una banalità, ma trovarsi da soli in un posto totalmente sconosciuto, a fare un lavoro mai provato prima – per di più fidandosi ciecamente della parola di qualcuno che non si è mai visto in faccia – è come affrontare un piccolo salto nel vuoto. Un salto che ti obbliga a metterti in discussione per davvero.
Inoltre, il fatto di stare in un paese straniero per più tempo, avendo stretti contatti con abitanti del posto, offre indubbiamente la possibilità sia di migliorare le proprie conoscenze linguistiche, sia di scoprire un luogo attraverso gli occhi di un local.
Ciò significa non solo viaggiare lontano dai classici percorsi turistici – ormai battuti e ribattuti – optando per una maggiore autenticità, ma anche recuperare una naturale propensione all’ascolto, al confronto ma soprattutto alla condivisione.
D’altronde, non sono questi i valori fondamentali che guidano ogni viaggiatore con la V maiuscola?!
[Francesca Lamperti per LeDonneLoSanno.it]